ResponsabilitàLa responsabilità amministrativa-contabile ed il principio di legalità
di Furio Pasquallucci (*)
Il Professor Berti chiudeva il 51° convegno di Varenna auspicando che la Corte dei conti desse il beneficio di vedere un’amministrazione che si conformava a regole rispondenti a quello che gli uomini chiedono a chi li amministra, e ciò nonostante nel corso dei lavori fossero stati profilati addirittura dubbi di costituzionalità in ordine alla normativa che disciplina l’istituto della responsabilità amministrativa rientrante nella giurisdizione della Corte stessa.
Ha sostenuto infatti il Prof. Merusi che la responsabilità per illecito arricchimento è rimasta una responsabilità di diritto comune regolata da codificazione settoriale, tendenzialmente autosufficiente, mentre la responsabilità amministrativa, configurata come una sanzione personale alternativa e sostitutiva rispetto alla responsabilità patrimoniale di diritto comune, è costituzionalmente illegittima perché la legge non definisce i suoi presupposti né i criteri per quantificare la sanzione.
L’illustre docente perviene a siffatte conclusioni in considerazione del carattere personale di tale responsabilità, che non genera una obbligazione trasmissibile agli eredi per cui sfocerebbe in una sanzione pecuniaria.
Ritengo che l’argomento non sia estraneo all’oggetto del presente convegno e meriti un particolare approfondimento.
Va premesso che la tesi della doppia natura della responsabilità in esame appare piuttosto isolata nel panorama dottrinario e non trova riscontro nei lavori parlamentari: il riferimento unitario al risarcimento del danno, come si dirà nel prosieguo, è sempre ben presente nei vari articoli che disciplinano la materia, sia prima della riforma del 1994, sia nella legge n. 20 approvata in quest’ultimo anno.
Invero la intrasmissibilità agli eredi venne introdotta con carattere generale (quindi senza distinguere fra illecito arricchimento o meno) con la legge n. 142 del 1990 e fu oggetto di svariate critiche: si parlò addirittura di istigazione al suicidio per chiunque fosse chiamato a rispondere per danni particolarmente gravi.
Con la legge 20/94 si pervenne all’attuale disciplina che prevede la trasmissibilità agli eredi solo nel caso che gli stessi abbiano beneficiato di illecito arricchimento conseguito dal de cuius.
Il legislatore, pertanto, non ha inteso definire due forme di responsabilità completamente diverse fra di loro ma solo a perseguire accomodamenti tendenti a dosare in maniera più o meno adeguata la ripartizione del rischio fra amministrazione danneggiata e soggetto danneggiante (v. Corte Cost. 371/1998). E proprio con riferimento ad un concetto unitario di responsabilità appaiono le sentenze della Corte Costituzionale che si pronunziano in ordine ai rapporti fra azione del P.M. contabile ed azione della P.A. in sede di costituzione di Parte Civile (v. 775/1988 e 272/2007) nonché in riferimento al concorso di responsabilità per dolo e per colpa (v. 453/1998).
Va precisato, però, che la riaffermazione del carattere unitario della responsabilità in esame non risolve il problema posto dal Prof. Merusi, giacché la tesi della funzione sanzionatoria della responsabilità contabileamministrativa è sostenuta da più parti in dottrina per cui si riproporrebbero in termini generali i dubbi di costituzionalità prospettati1.
Posso dire, però, che altrettanto (se non più) nutrito1 è il numero dei sostenitori della funzione risarcitoria che basano il loro convincimento su solidissimi argomenti:
· in primo luogo la chiara lettera delle leggi che si sono susseguite nel tempo e che si riferiscono tutte espressamente al risarcimento del danno: così l’art.82 del R.D. 18/11/1923 n. 2440, l’art. 52 del R.D. 12/7/1934 n. 1214, l’art. 19 del D.P.R. 10/.../1957 n. 3 e da ultimo l’art. 1 della L. 14/…/1994 n. 20;
così l’interpretazione sistematica che si desume dalla giurisprudenza:
· con riferimento alla condanna disposta in sede di costituzione di parte civile della P.A.. la Corte Costituzionale detta i criteri relativi al concorso delle due azioni (dinanzi all’AGO e dinanzi al Giudice contabile) per evitare che si dia luogo ad “un bis in idem” (n. 773/1988) ed il problema, affrontato di nuovo recentissimamente, viene risolto riconoscendo alla esclusiva giurisdizione della Corte dei conti la liquidazione del danno dovendo il giudice penale limitarsi alla sola condanna giuridica (n. 272/2007) ed ancora, investito del problema del concorso fra responsabilità per dolo e per colpa, sorta in seguito alla soppressione del vincolo solidale fra i rispettivi coobbligati, il giudice delle leggi lo risolve riconoscendo il carattere sussidiario del corresponsabile per colpa (n. 453/1988).
Trattasi di pronunzie che seguono tappe fondamentali nell’evoluzione della responsabilità in esame e che hanno come presupposto comune la funzione risarcitoria della stessa.
Nello stesso senso si sono più volte espresse le Sezioni unite della Cassazione che hanno ritenuto la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti nella materia de qua (v. Cass. S.U. n. 15288/2001 e 7946/2003).
Sintomatica è infine la recente vicenda del c.d. “emendamento Fuda”, inserito nell’ultima legge finanziaria e soppresso sul nascere con precipitoso Decreto Legge: con detta norma si prevedeva che la prescrizione iniziasse il proprio decorso dal momento della condotta, in contrasto con la consolidata giurisprudenza che individua il dies a quo nel momento in cui si concretizza il danno: quest’ultima tesi, chiaramente ispirata al principio risarcitorio, è stata immediatamente ribadita, con conseguente sconfessione dell’emendamento, molto più coerente con la logica sanzionatoria.
Ma un altro, ed a mio avviso decisivo, argomento milita a favore della funzione risarcitoria: se il giudizio dinanzi al giudice contabile dovesse sfociare in una sanzione dovrebbe necessariamente essere individuato un diverso foro per consentire all’Ente danneggiato di ottenere il ristoro del danno subito; tale conseguenza , evidenziata da ultimo dai professori Verde e Caputi Iambrenghi nel 51° convegno (v. pagg. 263 e 353), appare ineludibile quanto dannosa: il dipendente ed il pubblico amministratore sarebbero così sottoposti, oltre che al giudizio disciplinare, per quel che concerne il primo, al giudizio penale, al giudizio contabile - con funzione sanzionatoria: ed al giudizio civile con funzione risarcitoria.
Si avrebbe così un assurdo aggravamento a carico del soggetto sottoposto alla giurisdizione della Corte dei conti del tutto ingiustificato e certamente non voluto dal legislatore che ha ispirato, anzi, la sua azione ad un alleggerimento della posizione del responsabile contabile al fine di evitare la paralisi dell’azione amministrativa (v. C. Cost. n. 371/98).
Il professor Merusi, veramente , si pone il problema e tenta di superarlo configurando una sostituzione dalla misura sanzionatoria a quella risarcitoria, ma tale assunto non sembra sfuggire ad un vizio di incostituzionalità ancora maggiore di quello evidenziato dal professore, ponendosi in palese contrasto con l’art. 24 in quanto negherebbe all’Ente danneggiato il diritto di difendere i propri interessi.
Francamente non si vede perché si debba sostituire ad una interpretazione coerente con la Costituzione e come tale riconosciuta più volte dal giudice delle leggi, una costruzione che non reggerebbe sotto molteplici profili al confronto con il dettato costituzionale, seguendo un procedimento ermeneutico più volte censurato dalla stessa Corte Costituzionale.
A ben guardare, peraltro, la concezione critica del Prof. Merusi si basa sulla considerazione dell’atipicità dell’illecito, per cui l’individuazione di questo e del conseguente danno è rimessa alla giurisprudenza, con conseguenze estremamente pericolose, tali addirittura da far evocare i processi alle streghe del XVI secolo.
A tal proposito è bene ricordare che la giurisprudenza del giudice contabile si sviluppa secondo canoni ermeneutici non dissimili dagli insegnamenti della Cassazione che, attraverso una pluriennale elaborazione, è pervenuta ad individuare svariate ipotesi di danno (all’immagine, biologico, per perdita di chance e così via…), incontrando sempre il plauso della dottrina, che ha parlato di nuove conquiste a tutela dei diritti del cittadino, nel quadro del principio di solidarietà canonizzato dall’art. 2 della Costituzione.
E del pari critiche positive ha ricevuto la famosa pronunzia della suprema Corte relativa alla risarcibilità dei danni conseguenti a lesione di un interesse legittimo.
Non si capisce perché un analogo sforzo ermeneutico compiuto dal giudice contabile venga invece censurato, siccome tale da attentare al principio di legalità e, mentre si plaude all’ampliamento della responsabilità a carico della P.A., si critica l’applicazione degli stessi risultati a favore del demanio.
Una spiegazione la si può trovare forse in una illuminante considerazione del prof. Corso (v. atti del 51° Convegno, pag. 87), secondo cui la legalità è sempre meno percepita come un valore oggettivo e sempre più come un bene che diventa rilevante quando c’è un soggetto che ha interesse a farlo valere, perché a causa della violazione della legge ha subito o rischia di subire una lesione di un suo diritto o di un suo interesse.
Pur tenendo presenti le differenze fra legalità e liceità, mi sembra che l’osservazione ben si colleghi al giudizio contabile inteso alla tutela di interessi collettivi pubblici generali, sia pure nei limiti, indicati dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 544/A del 1987 (v. Scoca, atti 51° Convegno pag. 57): nel conflitto fra interesse generale ed interessi particolari sono sempre questi ultimi che tendono a prevalere.
* * * * *
Tanto premesso, non posso esimermi dall’osservare che la distinzione fra funzione risarcitoria e sanzionatoria è stata forse immeritatamente drammatizzata.
La compresenza di entrambe le finalità nella responsabilità per danno è pacificamente riconosciuta: il prof. Alpa, che al tema ha dedicato un ampio studio (“La responsabilità Civile” Giuffrè 1999 pag. 131 e ss.) ricorda come queste siano sempre ravvisabili a partire dal diritto romano, e siano pervenute sino a noi attraverso la dogmatica medievale (si veda pure l’intervento del prof. Corpaci, pag. 277 nota 35).
Ciò che rileva al fine di individuare la natura della responsabilità in esame è invece la capacità dell’azione intentata dal P.M. contabile di consumare o meno la pretesa risarcitoria.
Al riguardo, sia pure attraverso varie tesi che spaziano tra l’esclusività della giurisdizione della Corte dei conti ed il concorso di azioni (del P.M. dinanzi al giudice contabile e della P.A. dinanzi al giudizio ordinario),2 la giurisprudenza è univoca nel ritenere che il responsabile non possa subire due condanne ed ove tale evento si verificasse la reductio ad unitatum dovrebbe essere effettuata in sede di esecuzione.
Anche sotto questo profilo il “diritto vivente” risulta chiaramente orientato nel senso di affermare la natura risarcitoria.
Ciò posto non si può escludere che l’ordinamento preveda ipotesi di responsabilità che prescindano da un danno patrimoniale ma costituiscano invece un comportamento illecito: è questo il caso dell’art. 30, 15° L.F. 289/2002, che ha indubbiamente carattere sanzionatorio e presenta tutte le connotazioni all’uopo necessarie (dalla tipizzazione della fattispecie alla misura della sanzione);
Natura sanzionatoria poteva ravvisarsi pure nella ormai superata responsabilità formale di cui prima ancora della legge abrogatrice (L. 142/90 art. 58), fece giustizia la stessa giurisprudenza della Corte dei conti, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (n. 72/1983).
Trattasi però di eccezioni che presentano caratteristiche particolari e che non possono essere poste a base di una costruzione dogmatica che coinvolge tutto l’istituto della responsabilità amministrativa.
(f.to Furio Pasqualucci)
Intervento pubblicato sul sito Internet della Corte dei Conti - contributi al 53° Convegno di scienza dell′amministrazione, tenutosi a Varenna dal 20 al 22 settembre 2007, sul tema: "Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia".
--------
1 Per un’ ampia ed accurata bibliografia v. Vito Tenore in “La nuova Corte dei conti: Responsabilità, Pensioni, Controlli” Giuffrè 2004 pag. 21 ed in “L’ordinamento militare” Giuffrè 2006 vol. II pag. 786 e ss..
2 Per una critica a tale ultima prospettazione, rinvio, per brevità, ad un mio scritto in F. PASQUALUCCI e E.F. SCHLITZER “L’Evoluzione della responsabilità amministrativa” Giuffrè 2002 pag. 26 e ss..