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Rivista di Urbanistica, Lavori pubblici, Enti locali - 28/06/11 n. 19 - Direttore Responsabile D. Palombella

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  Home page news area tematica:  Chi ha ragione?
 

Per ricostruire un rudere è possibile ricorrere alla DIA ?
Donato Palombella

22/02/2012 - Il problema La ricostruzione di un rudere deve essere considerata come una “nuova costruzione” o come una semplice “ristrutturazione edilizia”? E′ necessario il permesso di costruire o è possibile utilizzare una denuncia di inizio di attività? Dare una rispondere al quesito non è agevole, peraltro la risposta è essenziale per stabilire la normativa da applicare al caso concreto evitando sanzioni e spiacevoli conseguenze, che potrebbero rivestire anche aspetti di ordine penale.


Il caso Un cittadino presenta una DIA per la ristrutturazione edilizia, con demolizione e fedele ricostruzione con l’originaria volumetria e sagoma, di un rudere di cui persisteva soltanto il piano seminterrato e una porzione di parete perimetrale. Si trattava, in sostanza, di un “intervento fotocopia” consistente, secondo il richiedente, in un intervento di fedele ricostruzione di un edificio preesistente. Il proponente si impegnava ad utilizzare anche gli stessi materiali che componevano il manufatto prima del crollo.
I lavori non venivano completati nel triennio e veniva presentata una nuova DIA. Nell′occasione si chiedeva di adeguare il manufatto alle mutate esigenze ed alle nuove normative, specie sotto il profilo del risparmio energetico. Nel frattempo mutavano anche i materiali impiegati e spuntava l′uso del calcestruzzo in luogo di quanto inizialmente previsto (cotto e sasso). Sotto questo profilo, quindi, il nuovo intervento era diverso da quello inizialmente approvato.
Il Comune bloccava la nuova DIA in quanto il manufatto in corso di realizzazione presentava notevoli difformità rispetto a quello inizialmente assentito. Alcune opere realizzate nelle more non erano inizialmente previste e, quindi, da ritenersi abusive.
A questo punto il proprietario impugnava il diniego alla richiesta DIA.


La tesi del cittadino. Le differenze tra la prima e la seconda Dia non sarebbero rilevanti. I materiali “a vista” sarebbero rimasti inalterati in quanto era previsto di rivestire i muri di facciata con gli stessi materiali indicati nel progetto originario. Di conseguenza, non era ipotizzabile alcuna variazione estetica. Non erano state introdotte, inoltre, variazioni prospettiche rispetto al progetto iniziale. Ad ogni buon conto, relativamente alle strutture realizzate in legno, veniva presentata un’istanza in sanatoria e veniva prevista la loro rimozione nonché la ricostruzione delle murature secondo quello che il Comune considerava il progetto approvato.
La nozione di ristrutturazione non sarebbe in funzione dei materiali impiegati, ma dovrebbe essere valutata alla luce dell′esame sul rispetto dei caratteri edilizi dell′edificio preesistente. L′opera, sotto questo profilo, sarebbe del tutto legittima non risultando alcuna modifica quanto agli elementi caratteristici essenziali: superficie, altezza, volume e sagoma.
L′impiego di materiali diversi sarebbe conciliabile con la ristrutturazione edilizia, anche a seguito delle modifiche apportate all′articolo 3, primo comma, lettera d), del T.U. dell′edilizia.


La tesi dell′amministrazione. L′operato del richiedente sarebbe da censurare sotto molteplici profili. In primo luogo, l′istanza di sanatoria sarebbe in insanabile conflitto con l′idea di rimuovere le strutture non inizialmente previste e, quindi, non autorizzate. L′opera risultante dalla nuova DIA sarebbe diversa da quella inizialmente prevista in quanto difforme per caratteristiche tipologiche e, soprattutto, per materiali usati e doveva dunque considerarsi come nuova costruzione..


La soluzione. Il Comune ha ragione, almeno in parte! Si tratta di un errore iniziale, in quanto l′amministrazione non avrebbe dovuto acconsentire alla realizzazione di opere tramite l′utilizzo della DIA. A stabilirlo è stato il TAR Veneto con la sentenza n. 207 del 14 dicembre 2011, resa pubblica tramite deposito in cancelleria l′8 febbraio 2012 . Il TAR fonda la propria tesi su una copiosa giurisprudenza (C.d.S., IV, 15 settembre 2006, n. 5375; conf. C.d.S., V, 10 febbraio 2004, n. 475; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 4 marzo 2010, n. 1286) che equipara la ricostruzione dei ruderi ad una nuova costruzione (e non alla ristrutturazione edilizia). Di conseguenza, la realizzazione dell′opera richiede il permesso di costruzione.
Occorre tener presente che, quando si tratta di ricostruire un rudere, non è possibile stabilire con certezza gli elementi costitutivi del manufatto originario per cui non è possibile stabilire fino a che punto il nuovo manufatto sia aderente a quello diruto.
Nel caso della ricostruzione di un rudere non si può far ricorso all’articolo 3, primo comma, lett. d), del d.P.R. 380/01 poiché non è possibile affermare con certezza che si tratti di un “intervento fotocopia”. Tale tipologia ricorre solo nel caso in cui ci sia demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma! La realizzazione dell′opera, quindi, richiede il rilascio di un permesso di costruire mentre la DIA può essere considerata solo una “modalità alternativa” utilizzabile sul presupposto (tutto da provare) che non vi sia una trasformazione del territorio.
L’utilizzo di materiali diversi rispetto a quelli indicati originariamente per la costruzione, sostiene il TAR, costituisca una variazione essenziale dell’intervento, che rende applicabile l’art. 32, lett. c) del DPR 380/2001.
 
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