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Il vicino di casa può impugnare la DIA?
14/03/2012 - Il caso. Il vicino di casa si ritiene leso dai lavori eseguiti in base ad una D.I.A. ed impugna il provvedimento dinanzi al TAR. Il terzo, in sostanza, chiede “l’annullamento della D.I.A. a seguito del mancato esercizio, da parte del Comune, del potere inibitorio all’esecuzione dei lavori nei trenta giorni successivi...” e la condanna dell’amministrazione all’adozione di un provvedimento inibitorio. Ovviamente scatta la richiesta di risarcimento del danno.
Il parere del TAR. Il ricorso è inammissibile, sentenzia il giudice amministrativo! La D.I.A., spiega il TAR del Veneto, non può essere considerata come un atto amministrativo e, come tale, impugnabile dinanzi al giudice amministrativo. La D.I.A., in sostanza, non è paragonabile ad un provvedimento tacito formatosi per il decorso del termine, ma deve essere considerata come una mera dichiarazione del privato rivolta all′amministrazione competente.
Porte sbarrate, quindi, all′azione diretta a chiedere l′annullamento della D.I.A. in quanto si tratterebbe di chiedere l′annullamento di un atto inesistente.
Qual è il rimedio? A questo punto occorre chiedersi quale sia o quale possa essere il rimedio apprestato dall′ordinamento contro la D.I.A. e come il privato possa “paralizzare” i lavori eseguiti in forza di tale titolo abilitativo dei lavori.
Secondo il T.A.R., il terzo che presume di essere stato leso dall′esecuzione di opere realizzate in forza di una D.I.A. dovrà impugnare l’inerzia dell′amministrazione. In definitiva si tratterà di accertare se la p.a. abbia omesso di sottoporre il progetto a verifica omettendo di esercitare i propri poteri inibitori. E′ ovvio che, nell′ipotesi in cui la p.a. dimostri di aver verificato la D.I.A. e di non aver rilevato alcuna anomalia, il provvedimento non potrebbe essere annullato in alcun modo ed i lavori dovranno essere considerati del tutto legittimi.
La pronuncia del TAR trova il proprio fondamento in un precedente degno di tutto rispetto. L′Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza del 29 luglio 2011, n. 15, aveva chiarito quali potessero essere i possibili rimedi contro una D.I.A.
E non finisce qui. Il TAR, pur prendendo spunto dall’autorevole parere del Consiglio di Stato, ha sottolineato che le cose, recentemente, sono mutate. Ci si riferisce, in particolare, al Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138 convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148 “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” (c.d. manovra bis) che, modificando l′art. 19 della Legge 7 agosto 1990 n. 241, ha introdotto il comma 6 ter.
La norma stabilisce espressamente che “la segnalazione certificata d’inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso d’inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104”.
La soluzione. Il terzo contro interessato può impugnare la D.I.A. (ovvero la S.C.I.A.) utilizzando i rimedi previsti dall’articolo 31 codice processo amministrativo per i casi di silenzio della P.A. .Stiamo parlando, quindi, delle azioni proponibili contro l’impugnativa del provvedimento tacito di diniego dei provvedimenti inibitori. In definitiva il terzo dovrà diffidare l’amministrazione ad esercitare il potere di autotutela attraverso i consueti poteri sanzionatori e repressivi. In caso di inerzia, potrà esperire l’azione ex art. 31 c.p.a. purché non sia trascorso un anno dalla scadenza del termine per l’adempimento.
Concludendo il terzo leso dalla D.I.A. non può impugnarla direttamente ma può solo impugnare il silenzio – ovvero il comportamento omissivo – tenuto dall’amministrazione.
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